Il monte Amaro ... quello di Opi

Una "piramide" al centro del parco, una montagna solo all'apparenza insignificante.

Un sentiero che sale sempre ripido, affacci spettacolari, ora sul monte Terratta, ora sull'alta val di Sangro, ora sulla val Fondillo e sulla Serra delle Gravare. E quando arrivi in cresta, sulle cime gli orizzonti diventano davvero infiniti. Sembra di toccarli, i Tre Mortari, il Petroso, il mt Irto, il Marsicano; montagna di carattere, stupenda.


Una bella, bella, bella “piccola” montagna, ho detto tutto, fine della relazione di questa giornata. No, voglio evitare che altri cadano nel mio prolungato errore e se qualcuno mai mi leggerà, proverò a lasciare tanti motivi in più per andare a conoscere questa piramide al centro del parco. Dal Lazio entriamo in Abruzzo dal valico di Forca d’Acero, dopo la lunga salita che inizia a Sora segue la lunga discesa fino alla valle dell’alto Sangro, fino ad Opi, dal mio punto di vista uno dei modi migliori per inoltrarsi nella terra del parco; raggiunta la val di Sangro sotto Opi, si continua verso Barrea, un paio di chilometri, fino all’imbocco della Val Fondillo, si entra in auto e si parcheggia nell’ampia struttura adibita dall’ente parco. Si imbocca l’ampia carrareccia, siamo circa a quota 1100 mt, a fianco del punto ristoro e si procede quasi in piano per l’ampia valle, si sfiora la vecchia segheria di Opi e poi il piacevole e rumoroso scorrere del torrente Fondillo che ci scivola sulla sinistra, davanti si elevano lontane le bianche creste della Serra delle Gravare. Dopo poco più di un chilometro si raggiunge la palina e il cartello che indicano sulla sinistra la deviazione per il sentiero che conduce al monte Amaro; a dire il vero è da qualche centinaio di metri che notiamo una strana disordinata distesa di rocce e pietrisco, sapeva di strano, più o meno dove doveva esserci il ponte che attraversava il torrente Fondillo prendiamo coscienza che qualcosa è accaduto. Il ponte non esiste, il torrente è contenuto da un argine di pietre di recente costruzione, tracce di devastazione sono ovunque. Le piogge di questo inverno devono aver fatto danni, il letto del torrente, ora ricontenuto all’interno di un alveo “normale” deve aver rotto gli argini, ha devastato un ampio tratto della valle, alberi divelti e legname accatastato sono le inconfondibili tracce di una grossa ondata che deve essere scesa dalla montagna, non ricordavo un episodio in particolare ma di certo deve essere stato il frutto di importanti piogge dell’inverno appena trascorso. Dobbiamo rassegnarci a guadare il torrente se vogliamo continuare, ma senza ponte è un po’ complicato farlo, tratti di corrente veloce dove si alzano schizzi e piccole onde quando l’acqua urta le rocce e alcuni più profondi ci fanno perdere tempo alla ricerca del punto di attraversamento migliore; alla fine, dopo svariati tentativi, non rimane che sollevarsi i pantaloni e attraversare. Raggiungiamo il versante opposto del torrente dopo 30 minuti dalla partenza, a parte qualche gradino in legno superstite, forse del vecchio ponte, non ci sono segnali e indicazioni se non una flebile traccia sul terreno tra erba e foglie. La seguiamo, punta diretta verso l’alto, dando per scontata la direzione la seguiamo; scopriremo poi al ritorno che il sentiero F1 ritorna un po’ indietro costeggiando il torrente sulla destra per poi prendere a salire qualche centinaio di metri più avanti. Rimaniamo comunque sempre, o quasi, su una traccia evidente, alcuni momenti sembra più un fosso dovuto allo scolo delle acque piovane che ad un vero sentiero, ma poi riprende, fino ad intercettare il sentiero F1 circa duecento metro sopra la partenza, il cui imbocco abbiamo evidentemente mancato. Il versante è costantemente ripido, la traccia sale con frequenti tornanti nel mezzo di bassa boscaglia poco fitta, ora verso ovest, dove si va allungando la val Fondillo fino alla lunga cresta delle Gravare, ed ora verso Nord, Nord-Est, dove è la sagoma del Marsicano a sovrastare ogni altro dettaglio, per dirla giusta si tratta della rocciosa parete del Terratta. Ogni tanto un balcone si apre tra la vegetazione, verso Nord, Opi, arroccato sul suo sperone, è un dettaglio quasi onirico nell’ampia alta val di Sangro; ad Ovest si affacciano perdendosi sulla Serra delle Gravare, dal San Nicola al monte Irto, da questa prospettiva toponomastico più che mai azzeccato; questa “montagnetta” sta scoprendo lentamente il suo carattere e la sua peculiare posizione centrale nel parco. Saliamo ripidi, anche se lenti, il bosco si infittisce ed i faggi prendono il posto dei pini e della bassa boscaglia; tra i 1400 mt e i 1700, momento in cui si esce dal bosco, si cammina all’interno di una faggeta, tratti ripidi con strette svolte si alternano a traversi, belli quelli che tagliano il ripido versante sotto le meravigliose e ruvide falesie ormai in vista della cresta sommitale. Si esce dal bosco lentamente dove il traverso raggiunge la sella poco prima dell’anticima. Il bosco spoglio favoriva momenti entusiasmanti in cui le ruvide montagne dei Tre Mortari e della piramide del Petroso riportavano ad imponenze selvagge e quasi impossibili da immaginare e da percorrere. Prima di raggiungere la cresta, nel bel mezzo di un vallone ripido in cui il bosco ha abbassato il suo profilo, ci siamo fermati per una decina di minuti; quei momenti intensi in cui tutto è fermo e tutto si perde in una vastità di dettagli troppo grande per l’occhio umano; una grande vastissima valle, frastagliata in una una miriade di piccole stretture e forre, molti spigoli e sottilissime creste; tutto ricoperto da un fitto bosco da cui traspare il profilo dei versanti ancora innevati, un chiaro scuro ipnotizzante che sale e si perde sui profili di Serra delle Gravare, su monte Irto, sul valico dell’Orso, sui Tre Mortari, sul Capraro ed il balzo della Chiesa, sulla piramide (da qui il profilo di vetta è davvero acuto) del Petroso. Ho scavato nella memoria per ricordare angoli di appennino così selvaggi ed isolati, sono stato rimandato ad antichi ricordi che mi hanno ricondotto sempre da queste parti, quando accompagnati dai gendarmi del parco salimmo i Tre Mortari e quando, con Augusto scendemmo la direttissima del canalone dal Petroso verso lo Iammiccio. Un momento intimo in cui ti rendi davvero conto che non è la vetta la meta importante ma quello che incontri lungo il cammino, quello che non ti aspetti, gli attimi degli scorci che ti rimangono dentro, unici ed indimenticabili. Manca poco alla sella e ad uscire dal bosco, la felesia rocciosa si assottiglia fino a diventare cresta e poi sella, sono passate poco meno di tre ore dalla partenza quando verso Nord-Ovest appare la sagoma del Marsicano, semplicemente enorme, occupa quasi tutto l’orizzonte, ciò che non è Marsicano, più lontana, è la lunga dorsale delle Serra di Rocca Chiarano. Il versante Nord-Ovest del monte Amaro scende ripido ed è innevato fino al limite della cresta, il bosco termina poche decine di metri sotto. Saliamo l’anticima del monte Amaro su una larga dorsale in costante leggera salita, riusciamo quasi sempre ad evitare la neve, poi qualche roccia, piccoli salti, passaggi facili che probabilmente senza la neve potrebbero essere facilmente aggirabili a sinistra e arriviamo in cima, si scopre la cima principale del monte Amaro di poco più alta, qualche centinaio di metri a Sud oltre una sella poco profonda, al centro di un panorama bellissimo che va dal monte Greco al Petroso e Irto; questa “montagnetta” sta riservando delle sorprese continue, forse, con le cime intorno ancora orlate di neve e con una giornata limpida come quella di oggi siamo stati fortunati a cogliere il momento ideale per valorizzarla al massimo. Scendiamo l’anticima con un occhio ai versanti che abbiamo ai lati e che si fanno molto ripidi e l’altro allo spigolo della vetta principale, sottile, orlato di neve, molto ripido e all’apparenza insidioso. Scendiamo sulla sella superando delle roccette in disarrampicata, lo preferiamo piuttosto che scendere nel versante Nord innevato e molto ripido; al limitare del bosco, poche decine di metri sotto, un camoscio osserva immobile le nostre evoluzioni, per lui sicuramente goffe. L’ambiente si fa più severo, la neve dura fino al limite dell’orlo sulla sella, verso Ovest il pendio scende molto ripido, spoglio di neve, impossibile poter pensare ad una traiettoria su questo versante; ci facciamo la traccia sulla neve e prendiamo a salire lo spigolo della vetta principale, che si assottiglia progressivamente; un salto di roccette va arrampicato, a sinistra la costa scende molto troppo ripida e la neve è troppo compatta per essere affrontata con disinvoltura; è in questo momento che ho pensato a come sarebbe stata la discesa in queste condizioni, non sarebbe stata impossibile ma complicata si, avevamo i ramponi nello zaino, ma tutta la manovra che ne sarebbe conseguita per superare solo i trenta metri, forse meno, che ci separavano dalla cima mi è sembrata stupida, eravamo arrivati, eravamo in un posto che dire meraviglioso era poco, volevamo godercelo serenamente, abbiamo preso la decisione su due piedi e dopo tre ore e mezzo di salita siamo ritornati sull’anticima dove abbiamo bivaccato per un po’ perdendoci nella selvaggia montagna che avevamo di fronte. E chi poteva immaginare che il “meno nobile” dei monti Amari potesse regalare momenti così intensi e belli; probabilmente sarò rimasto l’ultimo cui mancava questo 1800, quasi 1900, ma se qualcuno ancora non lo conosce smetta di tergiversare e si organizzi, fine inverno oppure tardo autunno credo siano i momenti migliori per salirlo. Dopo un quarto d’ora veramente sereno riprendiamo la discesa, che sappiamo essere molto ripida, superata l’anticima si spalanca davanti la sinuosa cresta fino alla sella dove c’è l’imbocco del sentiero verso il basso; un paio di ampie anse, orlata di neve, il bosco in alcuni tratti la sfiora, non avevo avuto la sensazione che fosse così bella in salita. Le sue linee si perdono sull’ampia val di Sangro, dopo l’ultimo sperone la montagna scende verticale ed il vuoto successivo esalta il profilo arroccato di Opi; da qualunque direzioni lo si guardi un gioiello di paese. Ancora un quadro onirico, definirlo bellissimo è riduttivo, spero che almeno una delle foto che scatto mi facciano degnamente riportare a casa questo momento. La discesa è velocissima, a parte i primi lunghi traversi sotto le falesie già citate, si precipita costantemente, in un’ora e mezza siamo praticamente a valle; quasi in basso deviamo sul tratto di sentiero principale che in salita non avevamo percorso, ero certo che ci facesse avvicinare alla Sorgente Tornareccia consigliatami da Giorgio e indicata chiaramente sulla carta, volevo visitarla; pochi tornanti e cominciamo a sentire l’allegro e insistente scorrere dell’acqua, ancora circa centocinquanta metri alti sulla valle ma non troppi per sentire la sua presenza. Intuitivamente e seguendo il “suono” dell’acqua, quando siamo quasi a valle deviamo sulla destra, costeggiamo da lontano il torrente Fondillo fino ad incrociare un altro torrente che ci si getta dentro; lo risaliamo per pochi metri e la sorgente si spalanca davanti, un gioco di salti, cascatelle, muschi, riempie una piccola tonda ansa che si apre sul fianco della montagna; trenta metri sopra si alza e ricomincia il bosco, in quel punto magico della montagna, dove finiscono le rocce col muschio e gli alberi ricominciano a popolarla, mille rivoli iniziano a zampillare e ad uscire dalla terra, tra le foglie, tra le radici degli alberi, si raccolgono, formano un fragoroso gioco di salti, di cascatelle e confluiscono nel più breve torrente che abbia mai avuto modo di vedere. Rubo dieci minuti a Marina per giocare con la macchina fotografica, questa sorgente è la palestra ideale per chi ama la fotografia e già immagino una deviazione, chissà quando, in un prossimo week end da queste parti, da dedicare solo a questa sorgente, un po’ di filtri, un cavalletto, tanta fantasia e tanta passione e il tempo che si ferma. Già mi ci vedo. Si è fatta l’ora di andare a mangiare qualcosa, guadiamo di nuovo il Fondillo, questa volta più a valle rispetto all’andata e quindi in un tratto dove scorre più veloce, lo scorrere dell’acqua ha scavato per cui c’è più profondità, non ci perdiamo nel cercare il punto più agevole, solleviamo i pantaloni il più in alto possibile e attraversiamo, l’auto è ad un quarto d’ora, tra poco saremo di nuovo asciutti. Peccato sia finita, è stata una bellissima giornata su una “montagnetta”, vera, sincera, divertente, un po’ faticosa, e molto molto panoramica.